Il Giappone è stato con noi questa mattina; sveglia presto, preparazione parallela sincronizzata di cinque barbari, colazione al volo e Shinkansen preso con precisione teutonica. Siamo rimasti stupiti anche noi di quanto siamo stati in grado di ottenere minacciandoci a vicenda di flagellarci nel caso perdessimo il treno delle otto. Una volta sul treno, io e il Bardo sveliamo agli altri che avremmo potuto prendere un treno venti minuti dopo, ma non ci andava di farlo perché partendo prima avremmo avuto più tempo.
Tra risate e coltellate prendiamo posto secondo l’algoritmo Primo Sedile Disponibile, dato che non abbiamo prenotato. In una mezz’oretta abbondante siamo a Himeji, dove sorge lo Himeji-jo, il castello di Himeji.
Himeji.
Il castello (che in realtà è un complesso di un’ottantina di edifici circondati da mura, fossati e lanzichenecchi) risale circa al 1300, ma è solo nel 1581 che, per volere di Toyotomi Hideyoshi, viene aggiunto il corpo centrale del castello, che verrà espanso dai successivi propietari.
Questo è molto importate perché forse non tutti sanno che Hideyoshi fu il secondo grande unificatore del Giappone, tra Oda “I have videogames named after me you punk” Nobunaga e Ieiasu “look at my fucking surname” Tokugawa. Mica cazzi, insomma.
Il castello prende anche il nome di Airone Bianco, per motivi a noi ignoti.
Copriamo rapidamente le poche centinaia di metri che ci separano dal castello, e scopriamo che per le genti di Himeji il parco antistante al castello è lo spot preferito per osservare l’Hanami. Quindi, alle nove e trenta circa è pieno di famigliole che si preparano a godersi la giornata di sole e gozzoviglia, e di addetti ai visitatori impanicati dato che si aspettano un miliardo di persone.
Oggi, inoltre, abbiamo deciso di affrontare il problema di Valerio che rimane indietro a far foto col cellulare impiegandoci due ore (pur non avendo chissà quali parametri da tocchicchiare) appiccicandogli una GoPro alla spalla ed eleggendolo a vice-aiuto-cameraman aggiunto. Vale non si perde più come prima a far foto, ma in compenso racconta tutto quello che vede e succede al “pubblico”. Non abbiamo cuore di dirgli che nella GoPro non c’è nessuna memory card, e lui chiacchera da solo per tutta la mattinata.
Raccattiamo un lasciapassare che ci permette di entrare nel castello anche se per caso si superasse il limite massimo giornaliero
di visitatori (il numero è segreto). Siccome il castello di Nagoya ci è piaciuto moltissimo, due anni fa, e non solo perchè ha a lungo ospitato Oda “uno shogunato di mille anni” Nobunaga, ci gettiamo in fila per esplorare anche questa roccaforte.
Subito la sensazione è quella della coda di una giostra a Gardaland. Corridoi stretti, scale ripide e con gli scalini stretti, gimcane spaccatesta; ma è tutto vero, originale, ristrutturato e curato. Tanto che la visita alla parte interiore può essere fatta solo scalzi.
Ci leviamo le scarpe e ci gettiamo nel ventre del castello, trovando al suo interno… niente. Il castello è molto bello, una impressionante opera di ingegneria, ma al suo interno non c’è, letteralmente, niente oltre i muri e le scale. A Nagoya avevamo trovato un bel museo pieno di oggetti d’epoca e interessanti spiegazioni, ma qui gli unici cartelli ci informano che stiamo guardando EAST BIG PILLAR e WEST BIG PILLAR.
Terminiamo la scalata e proseguiamo, a dire il vero un po’ delusi, il giro del complesso. Il castello si fa assolutamente perdonare l’interno scevro di qualsivoglia oggetto o croccantino d’interesse. La ristrutturazione (ancora in corso in parte del castello) sta venendo portata a termine in modo più che magistrale, e nel LUNGO CORRIDOIO situato sul versante ovest si trovano mlti fatti interessanto e qualche reperto risalente all’espansione del castello avvenut sotto l’egida dei clan Terumasa e Tadamasa.
L’ora di pranzo si avvicina; decidiamo quindi di visitare di corsa i giardini vicino al castello. Si ratta di una serie di nove giardini in stile giapponese situati appena oltre il fossato; Usciamo dal complesso dell’Himeji-jo, affrontiamo la folla inumana ed entriamo nei giardini.
I giardini sono molto belli; ci sarebbe piaciuto avere il tempo di fermarci a goderceli un po’ di più (molti giardini hanno delle panchine, cosa rarisima in Giappone), ma purtroppo stiamo facendo una speedrun. Concediamo cinque minuti ad ogni giardino, e poi di corsa verso la stazione alla volta di Kobe.
Arrivati al ristorante, ovviamente è pieno.
La situazione precipita; è necessario trovare un nuovo posto entro subito, dato che è già l’una e a Kobe i locali stanno chiudendo. Ladro utilizzia il suo google-fu e ci guida alla volta di un paio di ristoranti; il primo, ahinoi, ci sbatte le porte in faccia in quanto pieno, il secondo non ha posto per cinque persone ma è in grado di accomodarci in una location secondaria nella via a fianco.
Ci sediamo al bancone, ordiniamo, e siamo bambini felici.
Non è facile descrivere l’esperienza del mangiare manzo di Kobe. La carne viene preparata da uno chef su un teppan caldo davanti ai nostri occhi; lo chef (la chef, nel nostro caso) decide i tagli e ci consiglia gli abbinamenti. Tra una porzione e l’altra, veniamo inrattenuti da altri piatti di contorno, tra cui una sorta di roast beef di kobe, che si scioglie in bocca nel momento in cui tocca la lingua, e per chiudere il pranzo due fettine particolarmente cicciottelle scottate e intinte in una sorta di salsa che decidiamo chiamarsi “sugna”, in quanto non ne comprendiamo la composizione ma ci piace molto.
Sazi, appagati, baciati dal sole e dagli dei dello Shinto, torniamo pigramente verso Kyoto.
Una volta a Kyoto, Ladro e Vale tornano a casa, mentre io, Jack e il Bardo decidiamo di affrontare il Fushimi Inari-taisha, il principale santuario dedicato al culto di Inari in Giappone.
Inari Okami è il Dio del riso, del sake, dell’industria, della fertilità e dell’agricoltura. Ed ovviamente, delle volpi, che sono il suo animale messaggero, e sono anche le protettrici del tempio stesso (sotto forma di statue, ovviamente)
Il tempio sorge su una montagna, Inariyama (“La Montagna di Inari”, comunica il Bardo nello stupore di nessuno), ed è famoso sopratutto per le migliaia di Torii che decorano i sentieri che portano alla vetta. QUesti Torii vengono donati dalle ditte giapponesi ad Inari, per ottenere la sua benedizione e la fortuna negli affari. Stando ai cartelli informativi, questi Torii possono costare fino ad un milione e settecentomila yen circa, ovvero tredici-quattordicimila euro. Sul retro di ogni Torii c’è scritto chi lo ha donato, e con una mappa si potrebbero cercare i Torii di aziende specifiche (che ne so, Sega, Sony, robe così).
Ci stonfiamo un Tayaki (e ne avremo bisogno), e ci gettiamo nel primo sentiero disponibile, coi Torii più piccoli, per tentare la scalata alla vetta.
Più si sta vicino alla base del monte, ovviamente, più è pieno di turisti; nello specifico, è pieno di ragazze in Kimono che fanno le fotine carine, la versione giapponese di un prediciottesimo.
Consultiamo una mappa, che solo mezz’ora dopo scopriremo essere orrendamente fuori scala, e decidiamo di guadagnare la vetta. Tanto, concordiamo, ci vorrà un quarto d’ora al massimo.
Mezz’ora dopo arriviamo al punto della tragedia, il bivio dove i turisti scoprono che le mappe sono orridamente fuori scala e da qui si tratta di una scalata di altri trenta minuti minimo su scalini di pietra. Possiamo decidere se prendere la strada che parte in salita dura o quella che scende per poi risalire. Il bardo, che è in debito d’ossigeno da circa venti minuti, stoicamente sceglie la strada più ripida e proseguiamo. Dietro di noi, una cinese con zeppa, tacco, e trolley ci supera, si fa selfie alle stazioni di sosta (“Stazioni di Recupero Bardo”) e riprende. Notiamo che i turisti che ci vengono incontro sono tutti sorridenti, e non capiamo come mai.
Arriviamo in cima.
233 metri non sembrano impressionanti, ma considerate che sono tutti di scalini a chiocciola.
Scendiamo dal versante opposto del monte, e tentiamo un paio di sentieri alternativi per ridiscendere. Il primo è a strapiombo, quindi raccogliamo il Bardo e ci allontiamo delicatamente (soffre un po’ di vertigini, pora stella). Il secondo ci porta nel bosco e, dopo una cinquantina di metri, incrociamo un cartello che il bardo traduce sommariamente con “Se siete qui avete sbagliato strada”.
Torniamo sull’altro sentiero, quello che nel bivio della disperazione partiva in discesa. E scopriamo che termina con circa trenta metri di dislivello coperti da una scalinata irta come un saluto al duce. Capiamo perchè gli altri turisti sorridevano, e sorridiamo anche noi.
Il sole ormai se ne sta andando, e questo porta con se un bel venticello freddo ed un paio di buone opportunità per delle foto; facciamo del nostro meglio, ma la stanchezza potrebbe averci messo lo zampino.
Iniziamo, pur con enorme rispetto, a risentirci un po’ della sceltadi Inari Okami di aver voluto tutte ‘ste scale. Ci rendiamo conto che c’èchi sta peggio di noi quando, verso la fine del sentiero e il rientro in civiltà, incrociamo dei sararyman che stanno solo ora iniziando l’arrampicata, per assicurarsi il favore della divinità in ambito lavorativo.
A prendere il treno verso Kyoto sono tre cadaveri deambulanti; Ci manca giusto il talismano di rianimazione in testa (LO SO che quelli sono cinesi ma il senso è chiaro lo stesso).
La scelta, unanime, è di ammazzarci di Ramen alla stazione centrale di Kyoto, che vanta un pianodi soli ristoranti di Ramen, nei vari stili trovabili nell’arcipelago di Yamtao.
Che paese illuminato, il Giappone.
Recuperiamo il nostro Ramen Setto alla macchinetta dei Ramen, ci mettiamo in fila e dopo qualche minuto in cui siamo semisvenuti sugli sgabelli fuori dal rstorante, entriamo e ceniamo con un ottimo, ottmo ramen. Che aveva addirittura ella pancetta grigliata! Sembra niente, ma in Giappone sembra che siano avulsi al concetto di “bacon croccante”, preferendo bollire il più nobile taglio di maiale.
Pappatosi il Ramen, torniamo a casa disfatti.
Oggi ci siamo scarrellati qualche chilometro:
Cinque chilometri in più della media giornaliera, e con in mezzo così tanti scalini che non ne vorrò vedere più per almeno una settimana (ma so che non sarà possibile).
Come sempre, vi ricordo che potete seguire anche il rullino fotografico del cellulare all’indirizzo: https://goo.gl/photos/N4NTzoDR7pouhuoC8
Domani (oggi) piove a dirotto, quindi ci riposeremo e probabilmente visiteremo qualche attrazione coperta. Se le nostre schiene doloranti ce lo permetteranno.