E’ stata una giornata molto lunga, quella di ieri, al termine della quale mi è rimasta giusto la forza di arrotolarmi nelle coperte prima di svenire addormentarmi.
Siamo arrivati a Yokohama dopo un veloce giro di Shinkansen, preceduto da una discesa da Kawaguchi su un autobus che ha stroncato un po’ tutti; forse a causa delle doti di guida dell’autista del mezzo (pressochè assenti), forse a causa della gloriosa colazione tradizionale del Ryokan (pressochè overabbondante), ma alla discesa dal pullman pure il bardo ha ammesso di non stare proprio un fiore.
Arriviamo, dunque, nella ridente Yokohama, che ci accoglie a braccia aperte con una pioggia non esageratamente fitta e con un vento che fa del suo meglio per gettarci la pioggia in faccia a velocità mach. Del tipo che ci bagniamo, poi il vento cambia, l’acqua se ne schizza via dai nostri corpi, il vento cambia di nuovo e l’acqua ci bagna di nuovo. Sospetto del dolo.
Prendiamo possesso della camera attorno alle due; Appena il tempo di disfare le valigie (ovvero di appoggiarle a terra, dato che non disfacciamo mai le valigie) e ci avventuriamo alla ricerca di un Okonimiyaki, che ancora non abbiamo mangiato. Scopriamo con estremo giubilio che a due metri dall’ingresso dell’hotel esiste l’ingresso ad uno dei tipici mall sotterranei giapponesi, che a sua volta permette l’accesso ai de piani sotterranei di un department store, che a sua volta contengono un ristorante specializzato in okonomiyaki.
E’ con meno giubilio che scopriamo che questo underground mall e’ collegato con la stazione di Yokohama, e che potevamo risparmiarci il bagno offertoci dalle correnti oceaniche. Vabbe’.
Non credo di avervi mai spiegato la storia dei mall sotterranei giapponesi; in pratica, in un paese ad elevato rischio sismico, il punto migliore dove concentrare attività commerciali di vario tipo (caffé, ristoranti, negozi, cartolerie, farmacie, convenience store, negozi di libri, musica, film, devo continuare?) si ritiene sia circa tre metri sottoterra. In concomitanza delle stazioni centrali, questi veri e propri centri commerciali si snodano all’infinito. Spesso e volentieri, i palazzoni di centomila piani che ospitano grandi magazzini e simili hanno accessi stradali e accessi anche da questi livelli sotterranei, che di solito ospitano cibarie, sia sottoforma di ristoranti che, come nel caso di nagoya, di un piano pieno di piccoli negozietti specializzati in bento.
Prendiamo posto attorno ad un Teppan, la graziosa e incandescente piastra di metallo su cui l’okonomiyaki viene cotto. Ordiniamo una serie di piatti diversi, tra cui uno con tendini di mucca (paese che vai…) e l’abile cameriera si prodiga per cucinarci il pasto sotto il naso.
Per chi non lo sapesse, si tratta di una sorta di pizze con un “impasto” a base di uovo e cavolo finemente tritato, sul quale vengono messi ingredienti a piacere e poi un sottile (geologicamente parlando) strato di maionese ed un paio di mestolate di una salsa non meglio identificata, eventualmente coperte come nella foto da altri toppings.
La salsa non sappiamo cosa sia, ma secondo una delle regole auree del bardo:
Il marrone è il colore del buono
La sacra legge è ancora n volta rispettata, e divoriamo gli okonomiyaki.
Ci muoviamo verso la stazione di Kinnai or something, nel cuore di Yokohama e all’inzio del suo distretto commerciale. Ormai sono quasi le quattro, e il sole inizia a tramontare; la città si illumina di luci a festa, e ci ricordamo che è Natale, che in giappone è festeggiato principalmente come San Valentino: Back with a Vengeance.
Ci sono talmente tante coppiette in giro per la loro christmas date che non solo sembra di stare in uno shojo, sembra di stare in tutti gli shojo nello stesso momento.
Ad un certo punto vediamo una coppia con lui in stampelle e lei che lo aiuta e lo sostiene.
“lui è chiaramente un eroe atletico della sua scuola”, dico io.
“e lei è la sua ragazza ideale, quella con cui voleva uscire dal primo anno di superiori” dice Cumi.
“si sarà fatto male durante la finale dei nazionali. no, dei regionali”, propongo.
“certo – in un atto atletico per raggiungere la vittoria”, concorda Cumi.
“meglio – lui ha raccolto il coraggio a due mani e le ha chiesto di uscire a natale se avessero vinto la finale regionale”.
“lei sarebbe uscita lo stesso e questo le ha dato la scusa ideale per accettare”.
“lui non avrebbe dovuto giocare con la sua ferita ma ha fatto comunque tutto il necessario per vincere”.
“e vissero sempre felici e contenti”.
Meglio dei manga, senza neanche andare in edicola. E le ragazze (anche se non proprio bellissime ai miei occhidi Gaijin) sono tutte vestite benissimo. Nessun dettaglio fuori posto, sono tutte kawaii nei loro completini usciti direttamente dai sogni più segreti di qualche mangaka. Leggiadre avanzano nella folla (di coppiette) tenendo per mano o per il braccio il loro compagno.
Con gonne corte e senza calze a due gradi in una città battuta dal vento gelido dell’oceano.
L’unica possibilità è che i giapponesi da piccoli vengano pucciati nel ghiaccio fino a che non sentono più gli sbalzi di temberatura, o che le gonnelline da marinaretta siano in realtà antichi e potenti artefatti che proteggono dal freddo.
Decidiamo di esplorare la vita notturna di Yokohama, che secondo la mia guida Lonelyplanet è frizzante e piena di vita.
Entriamo nel primo pub consigliato, che sembra la versione giapponese della Belle Alliance (e chi mi conosce sa che questo è il miglior complimento che possa fare ad un locale dove si beve). Addocchio una paio di stout locali, ma CUmi mi comunica che purtroppo il locale è pieno, anche se sospetta che ci abbiano rimbalzato in quanto gaijin (improbabile, ovviamente, ma tendiamo ad attribuire alla nostra gaijinità tutte le sfortune).
Decidiamo di cenare in un Mos Burger dietro insistenza di Ladro che se mangia altrogiapponese promette una strage.
Non so cosa sia successo al giappone, ma per qualche motivo non amano il bacon nei loro hamburger. E questo è male.
Durante la cena pianifichiamo la giornata seguente e scopriamo una cosa divertente (se divertente vuol dire non divertente affatto); L’albergo che ci ospita a Tokyo si trova in realtà a metà tra Tokyo e Yokohama (niente di strano, dato che si tratta di uno sprawl urbano unico), equidistante dalle fermate di Shin-Yokohama e di Tokyo Terminal, da dove partono – arrivano gli shinkansen.
Il che vuol dire che dal nostro albergo di Yokohama dovremmo prendere un treno locale (pensate ad una metropolitana di superficie), uno shinkansen, un altro treno locale per arrivare all’albergo – oppure un treno locale solo alla stazione di Yokohama (che, attenzione, non è Shin-Yokohama) e metterci metà del tempo. Eleggiamo dunque Cumi Presidente del comitato facciamoci ridare i soldi del biglietto dello shinkasen.
Finiamo di mangiare un po’ scorati e proseguiamo.
Il secondo bar consigliato è “ottocento metri di qua”, dice il bardo. Sono le otto e non abbiamo ancora mangiato; In giappone sta chiudendo tutto, e rimangono aperti solo gli Izakaya e i Baretti. Giriamo come dei tordi in una zona a cui mancano solo i signori tatuati che roteano i pugnali per essere textbook_yakuza_neighborood_03 e finalmente troviamoil locale: Craft Beer Bar.
Undici spine a rotazione delle migliori birre locali ed un ambiente confortevole ci attendono in un altro giorno della settimana, poiché oggi è chiuso.
Terribilmente scorati, per non dire scazzati, torniamo a rotta di collo in albergo.
Il giorno dopo di buon’ora ci rechiamo all’ufficio JR (Japan Rail) di Yokohama, convertiamo i nostri biglietti da 3000 yen circa in biglietti da 220 yen circa, intaschiamo la differenza e ci muoviamo verso Tokyo.
Prima però facciamo due passi in un Department Store che abbiamo visto, uan roba rapida.
Due ore dopo, carichi di cazzate come i Re Magi, usciamo, recuperiamo le valigie e scappiamo verso Tokyo.
Saliamo sul treno locale, e a due fermate dalla nostra stazione qualcuno tira il freno di emergenza. Dieci minuti di attesa, framezzati da messaggi del tipo “state sereni che moripartiamo eh” ed effettivamente ripartiamo. Gli schermi in metro c comunicano che il ritardo è stato causato da “person entry”.
Tokyo! Supermegacittà ultragigante di 36 milioni di persone. La città che non dorme mai!
Buttiamo le valigie in camera, facciamo appena a tempo a dare uno sguardo agli acquisti del mattino ed è subito ora di partire.
Ovviamente “partire” è una parola; A Tokyo con la metro arrivi dappertutto, se solo sai come prenderla. il problema è che di compagnie che gestiscono la metro ce ne sono due (di linee ce ne sono circa sei milioni), e sui tabelloni di una compagnia le linee dell’altra appaiono solo se intersecano, e viceversa.
Decidiamo di gettarci in Shibuya, a vedere l’incrocio più famoso del giappone, e se ci rimane tempo alla Tokyo Tower. Ritorniamo verso la stazione attraversando un quartiereche sembra essere stato progettato per essere la casa del protagonista di una visual novel, saltiamo su un treno, facciamo un paio di cambi ed usciamo a Shibuya, davanti alla famosa statua di Hachiko (che mi rifiuto di fotografare, ché di cani morti non ho particolare volgia di conservare ricordi).
Non abbiamo particolarmente interesse, sarò sincero, in una zona famosa per la moda e lo stile. Scattiamo qualche foto e visitiamo lo shibuya 109, forese il più famoso negozio di vestiti di Tokyo, specializzato in moda femminile; Pieno di mille tipi di vestiti ed accessori, tutti decisamente kawaii. La moda del momento in giappone sembra essere lo scozzese.
Facciamo un altro paio di decine di metri fino al suo negozio gemello, lo Shibuya 109 for men, spinti da morbosa curiosità. Entriamo, e il primo negozio che vediamo è il più fornito negozio di accessristica di hello kitty visto fino ad oggi. oook.

l’incrocio più famoso del giappone, se non del mondo. Con una scelta tipicamente nipponica, non esiste nessun punto ideale sopraelevato da cui scattare delle foto, a parte uno Starbuck pieno come un cappone a natale.
Abbandoniamo questo tempio del consumismo e delle mode, prendiamo una manciata di treni diversi e sbuchiamo ai piedi di quello che probabilmente è il simbolo di tokyo; la tokyo tower.
Non nascondo il mio disappunto nel non trovare nessun cattivo degli anime a ridere sguaiatamente nelle vicinanze, né tantomeno una pioggia di petali di ciliegio fuori stagione.
Vaghiamo come dei tordi nel complesso alla base della torre, fino a che non troviamo l’accesso agli osservatori e conseguentemente la biglietteria.
Non nascondiamo l nostra preoccupazione per il bardo, che soffre di vertigini. Nel senso che siamo preoccupati di non riuscire a piazzare scommesse riguardo al fatto che sopravviva o meno la salita in ascensore. Ma fortunatamente sopravvive.
Tokyo di notte, come dire, non scherza un cazzo.

“shinji, questo è uno dei posti più famosi per le foto in tutto il giappone. cosa potremmo fare per migliorarlo?” “Lo so io! Mettiamo delle lucette sul soffitto che poi riflettono sul vetro e vengono in tutte le foto!”
Ci ricongiungiamo, verso le nove, con un’amica olandese di Cumi, con l’idea di mangiare curry al Curry Lab, alla base della torre, che sta aperto fino alle 22. Solo che alle 21 è già chiuso, perchè pure a Tokyo la gente mangia con le galline e poi va a dormire o alla peggio in un izakaya.
Decidiamo un piano d’azione. Dobbiamo trovare un posto dove mangiare, che sa vicino ad una stazione; E la stazione deve essere ideale per noi, che torniamo a Kamata, e per Stephanie, che torna a Yokohama. Con meno cambi possibili, visto che inizia a farsi tardi e in questo glorioso paese del sol levante i treni smettono di girare attorno alle 00.10.
Visibilmente stressati, troviamo un locale che mosso a pietà decide di farci entrare. Divoriamo a tempo di record una collezione di curry in stile thai molto particolari ma molto gustosi, salutiamo i generosi proprietari del locale, che con infinita pietà ci hanno consentito di entrare, e muoviamo verso la metro.
Arriviamo, dopo infinite peripezie, in albergo.