Nonostante la pioggia, decidiamo di affrontare il sistema di autobus di Kyoto anche oggi per recarci a vedere il Ginkaku-ji e gli altri templi attorno al Sentiero dei Filosofi.
Ci splittiamo subito; io e il Bardo e Vale rimaniamo a casa a finire gli ultimi preparativi, mentre Jack e Ladro vanno a fare colazione. Ci ritroviamo rapidamente davanti a Caffé Veloce e ci mettiamo in coda per l’autobus giusto. Purtroppo, a ‘sto giro il capitanonon ci fa saltare la fila, e aspettiamo qualche minuto. L’attesa, però, vale ad assicurarci l’ultima fila di posti, che occupiamo subitaneamente e arrogantemente come nemmeno i peggiori teppisti delle medie della periferiadi Kyoto.
Attraversamo la città, cogliendo qua e là scorci di ciliegi in fiore, fino a che non arriviamo alla nostra fermata; da qui è un attimo risalire la collinetta fino al Ginkaku-ji e al sentiero dei filosofi.
Al Ginkaku-ji è vietato, tra le altre cose, farsi selfie e introdurre droni telecomandati. Non ci si può che chiedere cosa sia successo che ha reso necessari questi divieti.
Avendo già visto il suo fratello maggiore, il Kinkaku-ji, questo tempio mi risulta un po’ “già visto”. I giardini che lo circondano, però, sono impressionanti. Sono i primi, ma non gli ultimi, giardini di muschioche vedremo oggi. La cura è, come al solito, maniacale; c’è un omino che spazza delicatamente il muschio per pulirlo, ed un altro che passa deci minuti buoni a posizionare una roccia in diversi modi per capire quale sia meglio.
Ad un certo punto il Bardo nota un cartello a fianco di una grossa roccia al centro di uno degli stagni, e lo vedo concentrarsi per tradurre i Kanji e carpirne il significato segreto.
“Cosa c’è scritto?”
“sono i kanji di… Roccia, Grande, In Mezzo”
“…quindi… la grande roccia in mezzo?”
“si”
“ok”
Probabilmente, ci diciamo, i giapponesi sono un popolo più diretto di quanto non sembri. Lasciamo il tempio per iniziare a seguire il sentiero dei filosofi, che ci permetterà di toccare altre shrine minori e maggiori, godendo nel contempo dell’Hanami sotto le sue fronde.
Il sentiero, ovviamente, è pieno ripieno strapieno di turisti, locali e non. Passeggiamo disinvolti, sfruttando il lato del canale che la massa di locali decide di ignorare senza motivo apparente. Evitiamo un paio di gruppi di italiani (che a loro volta ci evitano accuratamente, nel muto accordo del turista itliano che schiva gli altri italiani), fotografiamo gente vestita nei modi più disparati (dal tradizionale, al moderno, al colbacco con la visiera), passeggiamo come se non avessimo di meglio da fare (e in effetti, non abbiamo di meglio da fare).
Visitiamo un tempio buddista (Eikan-do), che si rivela uno dei templi più belli che abbiamo visto fin’ora, nonostante ILLIBBRO consigli la visita in autunno e non in primavera. Noi ce ne freghiamo, il tempio è semideserto, e passiamo qualche pacifico minuto al suo interno in contemplazione di un giardino con tanto di stagno e carpa koi dorata.
Il tempio è anche famoso per ospitare una statua del budda che si guarda alle spalle; secondo la leggenda, uno dei superpreti locali ha raggiunto un tale livello di purezza che il suo budda favorito si è alzato e ha iniziato ad andarsene, invitandolo a seguirlo. Una statua commemorativa col budda di schiena è stata messa al posto della precedente statua, e insomma, tutto molto bello.
Il tempio ha anche una graziosa pagoda (raggiungibile dopo una scalata mica da ridere per dei gradini di altezze diverse) da cui si gode una bella vista di Kyoto.
In questo momento mi rendo conto che Kyoto, pur essendo bella e piena di storia, a livello cittadino ha l’importanza di Brescia.
Vediamo da qui anche il monte Daimonji, il cui nome significa “Grande Carattere”, ed è una montagna (collina) su cui ogni estate viene bruciata parte della foresta per creare un grande carattere.
Di nuovo, a Kyoto tendono a nominare le cose col proprio nome. Pane al pane, vino al vino
Tentiamo un ritorno a casa, che sarà reso più complicato dal fatto che a Kyoto, come a Brescia, non esiste una rete metropolitana (c’è qualche treno, ma nelle sace parole del bardo: “non basta seppellire un treno per trasformarlo in metropolitana”), e dobbiamo muoverci con gli autobus. Che però sono piccoli, bui, e stipati di gente. Decidiamo di fare qualchealtro chilometro verso casa, fino a che finalmente non troviamo una fermata con tanto di capitano, che però ci vede, vede gli altri gaijin dietro di noi, decide che è troppo vecchio per questa merda e se ne va (giuro)
Saliamo sull’autobus, stipati come sardine, e dopo una buona mezz’ora raggiungiamo la nostra fermata. Anni di scuole superiori italiane ci hanno insegnato come si esce da un autobus affollato, quindi usiamo il Bardo come spartiacque. Seguiamo il nostro condottiero, che all’urlo di “Sumimasen!” si apre un varco tra la gente come Mosé col Mar Rosso. Senza guardare in faccia a nessuno, scendiamo.
La serata prosegue, fortunatamente priva di eventi. AL momento vi scrivo dal treno diretto a Nara; a stasera per un update al riguardo.