l00maca's Travel Blog

Di templi ed altre amenità del caso

Vi avevamo lasciato appena dopo una gustosa colazione, con la promessa di visitare il Kiyomizu-dera, e siccome sono contrattualmente obbligato a parlarvene, ahivoi, ve ne parlerò.

Decidiamo di spostarci in autobus, ci mettiamo in fila (per due, ordinatamente) alla colonnina del nostro autobus pescelto. Subito il capitano degli autobus di Kyoto (un austero signore con cappello e guanti) stabilisce che siamo troppo importanti per aspettare, ci fa tagliare la fila e ci fa salire su un autobus quasi pieno (sospetto che la vera ragione fosse qualcosa del tipo “se questi salgono su un autobus vuoto, rimane vuoto”). In circa dieci minuti raggiungiamo la fermata, paghiamo i 230 Yen della corsa mezzo Suica (gloria a te, Suica, per rendere queste operazioni più facili) e ci incamminiamo verso il tempo.

Il tempio è arroccato su una delle tante montagne (colline?) che circondano la città; Per raggiungerlo, ci arrampichiamo lungo una strada densa di negozietti di artigianato locale e mangerie generiche. Come promesso dalla guida, è facile trovare molte ragazze e qualche ragazzo vestiti in abiti tradizionali; incontriamo anche un paio di donne truccate da geisha, probabilmente turiste che sfruttano un dei tanti posti che ti agghinda, ti trucca e ti porta in giro a fare un sacco di belle foto.

“questa è la settimana deille geishe”, dirà dopo il Bardo, probabilmente in preda al coma glicemico, “quindi ci sono un sacco di loro roccaforti aperte al pubblico, e puoi vederle senza essere il re del mondo su invito personale”.

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Con estrema fatica, arranchiamo su per la strada fermandoci solo una volta a prendere un Nikuman per il Bardo e Valerio, che essendo circa le nove sentono bisogno di un richiamino della colazione, sarà l’aria frizzantina di montagna (collina).

Raggiungiamo l’ingresso del complesso del tempio.

“Kiyomizu” significa “acque pure” (dice il Bardo, prendetevela con lui), e il tempio prende il nome dalle cascate che ospita. Fu costruito nel 700 e spicci dietro volontà di Ieyasu Tokugawa, uno dei tre uomini tacciati della responsabilità di aver unificato il Grande Nihon. Non sono usati chiodi nella sua costruzione, perché sarebbe troppo mainstream; il tempio è costruito completamente in legno.

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Tutte le foto del tempio sono fatte da questa angolazione. Tutte.

Girovaghiamo come i turisti che siamo per la parte direttamente prima del tempio, ci muniamo di biglietti, ed entriamo. Il tempio è buddista, quindi l’aria è pervasa da odore di incenso e, ogni tanto, da qualche sutra snocciolato dai monaci. Si ha l’idea di camminare per un vero e proprio villaggio, a parte rispetto al resto di Kyoto.

Jack e Valerio provano la versione giapponese della bocca della verità; Sollevano, in due, uno spesso bastone da preghiera che si dice essere appartenuto a un qualche budda, accogliendo ovazioni della folla. Dopo aver toccato qualche infermo e baciato schiere di bambini, ci vengono restituti e proseguiamo verso la terrazza (che vedete qui sopra), sicuramente la parte più famosa del tempio. Dalla terrazza si gode di una bella vista di Kyoto e della cascata sottostante, con un milione di turisti che bevono dalle tre cascatelle che dovrebbero garantrie longevità, successo negli studi e danaro. Se si beve da tutte e tre, però, si mostra la propria avidità e non si ottiene nulla.

Nel caso si vada di fretta, fino a qualche anno fa ci si poteva buttare dalla terrazza al piano di sotto; sopravvivere il salto di circa 14 metri pareva essere di buon auspicio. Dei circa 220 pellegrini che han saltato, l’85% sono sopravvisuti; Poi il governo ci ha messo la manina ed ha proibito la pratica.

Si è fatta una certa, e decidiamo di infilarci in un locale per il pranzo; vince la selezione un locale specializzato in Soba. Swing low, sweet chariot.

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Terminiamo la visita e proseguiamo alla volta di un altro tempio. Il tempio prescelto è il Kodai-ji, costruito nel 1605 da Kita-no-Mandokoro in onore del defunto marito, Toyotomi Hideyoshi. Il denaro necessario l’ha messo quasi tutto (mano a dirlo) Ieyasu Tokugawa, che prima di trascinare il Giappone all’unificazione, è stato uno dei principali vassalli di Hideyoshi.

Il complesso del tempio è, anche in questo caso, un mondo a parte. Gran parte del tempio è andata persa in una serie di incendi, ma è stata ricostruita; visitiamo quindi i giardini, le sale principali, la shrine vera e propria un piccolo boschetto di bambù, simile ad Arashiyama.

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Lasciamo anche questo pardo, alla volta del Maruyama Koen, uno dei parchi più tranquilli e sereni di Kyoto per circa 330 giorni l’anno, eccezion fatta per Hatsumode e Hanami. Il parco, quindi, è ricolmo di locali e turisti che, come a Nagoya, si godono la fioritura dei ciliegi e lo street food. Partecipiamo all’antico rituale acquistando delle pallette di pastella alla piastra da una bancarella e vagando inebetiti per il parco. Fotografiamo quello che la guida definisce il più bel ciliegio di Kyoto:

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Lasciamo il parco dopo una mezz’ora alla volta di casa. Molliamo gli zaini e gli acquisti della giornata (principalmente doni per amici e parenti) e ci dirigiamo ad un posto che fa Okonomiyaki. Che però sono Kyoto-stile, quindi con soba o noodles al posto del cavolo. Jack e Ladro prendono una bistecchina alla piastra, io, Vale e Bardo prendiamo il piatto tipico, il cui nome non ricordo. Sottostimiamo spaventosamente le dimensioni di quello che ci arriverà.

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(la foto è sfocata perchè mi tremavano le mani)

Terminiamo la cena in un effort di gruppo (plauso a Ladro e Jack che fniscono la tortella di morte mia e del Bardo), e ci dividiamo; Ladro e Vale tornano a casa, mentre io, Jack e il Bardo ci buttiamo da Hub per una biretta.

Veniamo avvicinato da un gruppo di ubriachi locali E da una giovinetta giapponese che, a parere mioe  di Jack, ce stava a provà col Bardo. Noi saremmo stati anche ben contenti di liberare il campo dai di lei amici ciucchi, ma ahimé, la cosa non è stata possibile.

Stamane, la pioggia è battente su Kyoto; sono le nove meno un quarto, e stiamo deliberando il da farsi. Vi terremo aggiornati.

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