l00maca's Travel Blog

Nagoya – Sono un po’ stanchino…

L’ultima volta che vi ho scritto eravamo a Tokyo, in procinto di prendere una serie di treni alla volta della gloriosa Takayama, patria della scimmia senza faccia della fortuna.

La mattina decidiamo, quindi, di darci al più nipponico dei passatempi: il Karaoke.

Complice una terribile impresa consistente in un drugstore aperto H24 e un Karaoke con gli stessi orari, chiediamo ad un commesso che non crede ai suoi occhi un salottino privato ed entriamo nel regno della musica catata male.

Ci abbiamo messo così tanto perché Cumi sosteneva che non ci fossero molte canzoni occidentali, forse gli aqua, ecco.

Per rompere ogni imbarazzo procedo a macellare, con falsetto e tutto, Mamma Mia! degli ABBA, ad oggi una delle mie canzoni preferite d’ogni tempo.

Quello che non ti aspetti non sono tanto le basi rifatte ad un livello da bontempi sistem five; sono i video, che nel migliore dei casi non azzeccano con la canzone, ma nel peggiore hanno un vago senso generico. Nel caso di Mamma Mia!, una tardona vagava in america alla ricerca del suo bel manzo (entrambi sembravano usciti da una pubblicità di una tinta per uomini o donne mature), lo trovava ma poi era triste.

Bando alle ciance, tentiamo tutti qualche pezzo; Cumi vorrebbe offrirci la sigla di Kenshiro, ma gli hiragana scorrono troppo veloci. Ripropongo (nel senso di riproporre il pranzo) Mirror Mirror dei Blind Guardian, passiamo a Piano Man di Billy Joel, poi Fear of the Dark, poi scadiamo nel country: San Quentin (il video mostra un giovanotto orientale in un giardino mezzo rotto che contempla cose), Country Roads (questa la facciamo all’80%, highest rating!), e concludo con un mio grande classico cantato ubriaco dai finestrini, Toxicity dei System of a Down (il cui video è lo stesso di Mirror Mirror, a quanto pare).

(vorrei mettervi delle foto ma ahimé, nei karaoke i telefoni non funzionano. strano)

Lasciamo il Karaoke tra i sorrisi del commesso che, sono sicuro, venderà i video di sorveglianza, e prendiamo per l’ultima volta la Keihin o come diavolo si chiama verso la stazione di Tokyo, dove ci aspetta lo shinkansen per Nagoya.

Dico “aspetta” in senso lato, dato che arriviamo giusto in tempo per vedere le sue liscissime porte chiudersi e la sua aerodinamica sagoma allontanarsi dalla banchina. Abbiamo perso il nostro Shinkansen.

Cosa succede nell’organizzato, rigido, schematico giappone quando perdi un treno? In realtà non un granché; prendi quello dopo, ma la tua prenotazione non è valida, quindi devi trovarti un posto nelle carrozze coi posti non prenotati. Sembra facile, giusto?

Secondo il Libro di Pito, normalmente non è un problema trovare posto anche al volo, tranne che nei giorni della fine dell’anno, in cui i giapponesi tornano a casa loro dalle grandi metropoli per festeggiare lo Hatsumode con le proprie famiglie.

Vi ricordo che tutto questo ci accade il 31 di Dicembre. Cercando di lasciare LA metropoli per eccellenza per un villaggetto sui monti. Un grazioso colpo di coda del 2014, insomma; Ma non è finita.

Al diavolo ogni pretesa di onore e giustizia, assaltiamo il successivo treno come solo degli italiani – siamo seduti con le valigie a posto prima i locali capiscano cosa stia succedendo. Il viaggio prosegue privo di eventi fino a Nagoya, dove abbandoniamo lo shinkansen e ci prepariamo a ripetere l’assalto alla carovana (ovviamente abbiamo perso ogni parvenza di coincidenza) con il treno che deve portarci a Takayama.

Trattasi di un treno modello Tozzi-Fan a gasolio (giuro sulla mia collezione di Pipe), con sole cinque carrozze. Questo ultimo dato ci coglie impreparati, e non riusciamo a guadgnare un posto per il breve tragitto di circa due ore e mezza, che dobbiamo spendere nello spazio antistante il bagno tra due carrozze (più confortevole che nei treni italiani, ma comunque pieno di spifferi, non riscaldato, gonfio di gentaglia e con persone che continuano a passare avanti e indietro).

Inizio a non sentirmi proprio in formissima.

Il controllore, peraltro, passa avanti e indietro quattro o cinque volte, sembra volerci chiedere il biglietto, ma poi desiste.

Dopo circa 32 ore di viaggio (ma forse dimeno) arriviamo nella ridente Takayama, che ci accoglie sotto la neve, con le strade gia’ piene di neve. Questo e’ il tipico villaggio-disperso-nei-monti che si vede negli Anime; tanto ci e’ chiaro dal momento zero, in cui non ci sono macchinette automatiche all’uscita della stazione ma tre omini delle ferrovie che ci vidimano il biglietto manualmente.

Dopo dieci minuti di pulmino volante (forse pero’ era solo un pulmino normale) raggiungiamo il Ryokan. A differenza di Kawaguchi, questo e’ tradizionale anche all’esterno; Sembra sia stato costruito ventimila anni fa, ma l’interno e’ lucidato e tenuto come se avessero aperto ieri. Ci leviamo subito le scarpe e ci prendiamo un te’ salato (un brodo? non lo so) mentre una signora vecchia come il mondo stesso ci spiega come funziona.

Dopo aver ricevuto istruzioni riguardo quando e dove mangiare, e quando possiamo visitare il bagno pubblico, riceviamo il nostro fucile antiorso e ci muoviamo in camera. Alla prima vecchia si affianca una seconda vecchia, che ci stima per altezza e peso e ci mette in mano degli yukata.

Ceniamo (cucina di alta classe, quindi tanti piccoli bocconi di cose che non sappiamo riconoscere e shabu shabu, che sappiamo riconoscere), assaggiando la carne di Takayama che vorrebbe essere concorrente a quella di Kobe ma che, ahime’, pur essendo veramente buona non e’ lontanamente in gara.

Dopo cena, con la febbre a circa 37.5, visitiamo il bagno pubblico del Ryokan.

Il bagno e’ un po’ piu’ piccolo di quello di Kawaguchi; pero’ possiede ben due vasche esterne, praticamente sotto la neve. Passiamo una mezzoretta alternando la vasca interna con quella esterna tiepida e quella esterna bollente e la neve sulla nuda pelle, poi torniamo in stanza.

A questo punto sono pieno di paracetamolo e sto bene. Guardiamo qualche anime per ingannare il tempo fino alla mezzanotte (vi ricordo che e’ il 31/12) per poi visitare i templi della zona per l’Hatsumode. Mi addormento come una pera cotta, e verso mezzanotte e venti mi sveglio.

ingresso ad uno dei templi shintoisti attorno al ryokan.

ingresso ad uno dei templi shintoisti attorno al ryokan.

Ci copriamo e seguiamo al strada fino a che non vediamo delle lanterne che segnano l’ingresso ad uno dei tanti templi shintoisti di Takayama. Questo e’ un templio molto piccolo, rispetto a quelli che vedremo poi il giorno dopo, ma lo spettacolo e’ comunque fenomenale.

Nel silenzio, gli unici suoni che si sentono sono lo scoppiettare dell’enorme falo’, la neve sotto i piedi e in lontananza la campana di un tempio buddista che batte i tradizionali 108 rintocchi.

ogni tanto l'omino del tempio gettava con noncuranza tronchi da ottanta chili, che lanciavano nella notte una nuvola di scintille rosse.

ogni tanto l’omino del tempio gettava con noncuranza tronchi da ottanta chili, che lanciavano nella notte una nuvola di scintille rosse.

Lasciamo questo ennesimo luogo sacro dopo aver pregato presso l’altare, e torniamo in camera a prepararci per il primo di gennaio.

Takayama, dopo una nottata di neve leggera

Takayama, dopo una nottata di neve leggera.

Mi sevglio che sono uno straccio, ma una corroborante colazione a base di non so cosa, zuppa di miso e riso mi rimette in carreggiata. Siamo pronti ad affrontare la bella Takayama! Dove “pronti” va letto come “tenuto assieme con lo sputo”.

Takayama e’ famosa sopratutto per la sua zona commerciale per turisti, una lunga coppia di vie parallele in cui tutto e’ conservato come ai vecchi tempi, in un effort mica da ridere. I negozi sono pieni di artigianato locale e cibo da strada, che non manchiamo di testare per qualita’.

quali antichi portenti!

quali antichi portenti!

Proseguiamo la nostra visita sotto la neve incessante; raggiungiamo un tempio buddista, dove decidiamo di separarci. Bardo e Ladro tornano in Ryokan, mentre io, Cumi e Chiara proseguiamo nei nostri giri.

Nessuno dei due gruppi prende la strada giusta.

Visitiamo dunque il tempio buddista davanti al quale ci siamo separati, stando bene attenti agli orsi, e proseguiamo fino a trovare un altro tempio, questa volta pieno di gente.

Quanta. Neve.

Quanta. Neve.

Dopo altre due ore di vagabondare da parte di entrambi i gruppi (con noi che davamo loro false coordinate GPS del ryokan per farci seguire) arriviamo praticamente assieme nell’albergo.

A questo punto ho circa 38 di febbre, ma non voglio farne un affare di stato disturbando Mojo, la scimmia verde del Delirio che vedo in questi casi.

Ceniamo senza troppe stranezze e ci corichiamo, visto che il giorno dopo partiamo all’alba per farci diverse ore di treno per raggiungere Nara.

Vi risparmio un rendiconto di due giorni passati a letto tra nara e kyoto, con 39 di febbre e abbastanza moccio da affogarci un uomo adulto.

Sia io che chiara ci riprendiamo abbastanza per goderci l’ultiko giorno a Kyoto prima di ripartire per Nagoya e poi per l’italia.

Il primo posto che visitiamo e’, dietro mia insistenza, uno dei tourist spot piu’ famosi di Kyoto: il bosco di bambu’ di Arashiyama.

Bambu' a perdita d'occhio spuntano tra la neve e i turisti.

Bambu’ a perdita d’occhio spuntano tra la neve e i turisti.

Ovviamente e’ pieno di turisti, tra i quali un sacco di italiani. Per fortuna non ci sono scene patetiche tipo quella sul Top of the Rock, ma per sicurezza passiamo al parlare inglese o a voce bassissima.

Visitiamo, gia’ che siam qui, anche un grazioso giardino all’interno del tempio buddista zen di non mi ricordo dove. Nonostante non siano visibili i classici giardini di ghiaia a causa della neve, anche in inverno il giardino mantiene intatto tutto il suo fascino.

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Nel laghetto vediamo anche le carpe Koi, simbolo del giappone, della grande Y, dei tatuaggi che non sai mai se e’ una buona idea farti e anche di forza e robustezza, vala’.

"you came in the wrong neighborhood, motherfucker-san"

“you came in the wrong neighborhood, motherfucker-san”

Lasciamo il pozzo dei turisti per infilarci in un altro pozzo dei turisti: il Tempio d’Oro, il famosissimo Kinkaku-ji di Kyoto.

Such golden majesty!

Such golden majesty!

Io sono col naso pieno di muco, chiara e’ in piedi per un errore della costumista, ma comunque il tempio merita di brutto. La folla e’ presente anche qui, ma sono meno stranieri e piu’ giapponesi. Non e’ che l’attrazione sia supercomplessa: vedi il tempio e i giardini circostanti e poi esci.

Ed e’ quello che facciamo.

Questo e’ l’ultimpo sito turistico che visiteremo. Con un po’ di magone ci spostiamo in un supernegozione di souvenir per comprare le ultime necessita’ indispensabili (come uno Yukata per me) e poi di volata prima in albergo, poi a Nagoya.

Vi risparmio la storia tragica del nostro rientro, quella e’ qualcosa che dovrete sentire live dalle mie labbra.

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